Intervista alla traduttrice Melissa Fedi. La traduzione? È la mia missione.

Ciao Melissa grazie per aver accettato di fare questa chiacchierata insieme…raccontaci come nasce l’interesse per la lingua persiana e per la cultura iraniana.
Ciao Antonella, grazie a te, a Negah, per questa intervista che mi permette di parlare del lavoro che amo. In realtà l’interesse per la lingua persiana è nato di riflesso dall’interesse più generale verso il Medio Oriente.

Era il lontano 2008, ero in missione archeologica ad Alessandria d’Egitto e
lì è avvenuta una sorta di magia: mi sono ritrovata immersa in una cultura che non conoscevo ma che ho profondamente amato da subito – nonostante le difficoltà. Allora mi sono ripromessa che un giorno avrei “svelato” il segreto di quelle linee sensuali e sinuose che compongono la scrittura
araba
, che sarei stata un mezzo affinché l’incanto di quell’idioma e di quelle parole potesse essere inteso da tutti quelli che parlavano la mia lingua, l’italiano.

Così, diversi anni dopo, mi sono ri-iscritta all’università, al corso di Lingue e Civiltà Orientali, presso il quale si studiava, assieme
all’arabo, anche il persiano, scritto nei medesimi caratteri arabo-persiani.

E lì… una seconda magia: la lingua dell’altipiano ha preso il sopravvento sul mio cuore, anche grazie a testi come Il paese delle stelle nascoste o Persepolis, che raccontavano la storia intensa e travagliata di
questo paese millenario.

Perché hai deciso di occuparti di traduzione?
In parte ho già risposto sopra, decodificare i simboli di scritture non latine – fin dal liceo classico quando mi dilettavo con le mie amatissime versioni di greco – mi ha sempre fatta sentire investita di un compito quasi sacrale, come fossi un mezzo, una porta tramite la quale si instaura una
connessione, una conoscenza, una profonda comprensione dell’altro, della cultura altra. Perché solo conoscendoci, capendoci reciprocamente, solo così possiamo abbandonare la paura del diverso e abbracciarne l’essenza.

Insomma, per me tradurre è quasi una missione. Vi ero
destinata.


Qual è stato il tuo primo lavoro di traduzione?
Il mio primo lavoro di traduzione è stato pubblicato nella raccolta So di una donna e altre poesie, edito da Edizioni Q. Mi sono occupata di poesia contemporanea composta in verso libero. È un lavoro che mi sta particolarmente a cuore, poiché ho tradotto esclusivamente poetesse, da
Farkhondeh Hājizādeh, alla “vate” Tāhereh Saffārzādeh, a Cistā Yasrebi. Devo ringraziare di cuore la dott.ssa Leila Karami e il professor Wasim Dahmash che mi hanno dato questa opportunità.


Come scegli i brani da tradurre? È un lavoro su commissione o indipendente?
Per il momento ho tradotto testi commissionatimi; alla fine sono una traduttrice emergente, debbo ancora acquisire l’esperienza necessaria che mi permetta di riconoscere un buon testo. Per ora mi definisco una mera “esecutrice”: rubando la battuta ad Archimede, “datemi un testo da
tradurre, e vi solleverò il mondo”.


A quale lavoro/storia sei più legata e perché?
Il lavoro cui sono più legata è la mia prima traduzione di un romanzo, non è ancora stato pubblicato, quindi no spoiler! Posso dirti però che l’ho adorato fin dalle prime pagine. L’autrice dosa sapientemente le dimensioni della realtà e del sogno, la trama è avvincente. Si tratta di un
romanzo che ha una protagonista “in assenza”, ma che allo stesso tempo è corale, che racconta la storia non solo delle persone, ma anche della città – nel bene e nel male – sempre così presente nelle opere delle scrittrici e degli scrittori iraniani. Trovo sia anche notevole il background culturale dell’autrice: nel romanzo ci sono accenni che spaziano dalla letteratura classica persiana alla letteratura occidentale, alla musica pop, alla storia moderna e contemporanea.

Quanta richiesta c’è di traduzione testi dal persiano in Italia? È un settore in via di espansione o rimane ancora un po’ di “nicchia”?
Sicuramente negli ultimi anni, grazie anche al lavoro della compianta professoressa Anna Vanzan prima e di bravissimi colleghi come Giacomo Longhi poi, c’è sempre un maggiore interesse verso la letteratura persiana contemporanea. Rimane però un settore in via di esplorazione, per lo più
legato all’editoria indipendente. Ma si può fare di più, arriverà il giorno in cui la letteratura persiana sarà finalmente riconosciuta anche dai grandi editori.

Sappiamo che con la tua amica/collega Federica Ponzo hai lavorato 3 anni alla realizzazione del vocabolario italiano-persiano che è recentemente uscito e acquistabile, vuoi raccontarci come nasce questo progetto?
Grazie Antonella, ma non attribuirci meriti che non ci spettano! 😀 Abbiamo lavorato all’aggiornamento, digitalizzazione e revisione del già esistente dizionario italiano-persiano Coletti-Grünbaum. Federica e io eravamo circa al terzo anno della triennale, abbiamo quasi avuto un’intuizione parallela, abbiamo riflettuto un attimo, ci siamo guardate e ci siamo dette: «’O
famo?» «Famolo!» («Lo facciamo?» «Facciamolo!» n.d.r.) Scherzi a parte, abbiamo pensato alle future studentesse e ai futuri studenti di persiano, e abbiamo sentito l’esigenza di rendere questo valido strumento ancor più efficiente: più facilmente consultabile e al passo coi tempi. L’ultima
edizione risaliva infatti agli anni ’70, perciò ne restavano del tutto fuori i termini della lingua contemporanea e degli ambiti specializzati introdottisi in Iran con l’evoluzione tecnologica e la globalizzazione (informatica, studi di genere ecc.) e, al contrario, abbondava di vocaboli desueti
ormai in disuso; inoltre il “vecchio” Coletti essendo dattiloscritto, per la natura dei caratteri arabo-persiani, risultava di difficile lettura (ci siamo preoccupate di salvaguardare da certa miopia gli occhi di studenti e studentesse futuri!), specialmente per i novizi della lingua.

La cosa che in assoluto ci rende più soddisfatte è essere riuscite a portare avanti questo progetto nonostante le numerose difficoltà tecniche incontrate.

Ti occupi anche di interpretariato?
No, la lingua scritta, la letteratura, è il mio ambito d’elezione.

Quali sono le difficoltà che incontri maggiormente nel tuo lavoro?
Credo la maggiore difficoltà di qualsiasi traduttrice o traduttore sia affrontare la paura di perdere qualcosa, di sottrarre qualcosa alla lingua originale, di spogliarla di una certa evocatività. Di contro, c’è l’opposta paura di rendere macchinosa la propria lingua, quella d’arrivo, traducendo in maniera troppo letterale. La vera sfida è scongiurare la colonizzazione della lingua e della cultura, e per ottenere questo occorre passare prima per una loro profonda comprensione, analizzarne gli elementi costitutivi scomponendoli e assorbendoli con umiltà e senza “orientalismo”.

Ti conosciamo come una donna libera e diretta, quale libro/quali argomenti tabù vorresti tradurre dal farsi all’italiano?
Mi rendo conto che le condizioni politico-sociali dell’Iran non sono ancora mature perché questo accada, ma mi piacerebbe che potesse farsi spazio nella letteratura persiana una letteratura queer e LGBT+, che possa dar voce alle variegate espressioni ed esperienze dell’Umano, che restituisca il diritto di esistere a quella numerosa parte di società costretta a vivere nell’ombra e all’ombra della discriminazione, del bigottismo religioso e della “diverso-fobia”, permettimi questo neologismo.

L’ambito degli studi di genere è un campo che mi interessa particolarmente, nella redazione di un mio articolo sulla violenza agita contro le donne transessuali in Iran ho avuto modo di venire a conoscenza di due studiose iraniane della diaspora, Afsāneh Najmābādi e Zahrā Saeidzādeh, il cui lavoro è stato per me illuminante. Ecco, mi piacerebbe un giorno poter
leggere (e tradurre in italiano) i loro saggi in persiano, anziché in inglese.

Sogni e prossimi progetti? Se puoi svelarci qualcosa….
Ne ho in ballo uno molto importante per me, sogno e progetto allo stesso tempo… Vedremo!

Quali sono secondo la tua esperienza le affinità fra cultura italiana e iraniana?
Le nostre culture per alcuni versi sono molto simili: l’ospitalità è sacra, anche se presso di noi è sempre condita da un poco di diffidenza. Siamo ugualmente pettegoli e impiccioni (concedetemelo, amare una cultura non significa non riconoscerne i tratti negativi!) e… poco inclini a creare una fila ordinata! Ma una caratteristica degli Iraniani non ha eguali, cioè la cultura
del famigerato ta’ārof
(traducibile con “fare complimenti”), che inevitabilmente si riflette nella lingua in tutta una serie di espressioni che risultano esagerate a chi sia estraneo all’ambito, quasi ipocrite (“non Vi dolga la mano”, “mi sacrifico per Voi”, “fra le Vostre parole v’è zucchero” ecc.).

Un consiglio a chi ha iniziato ad entrare nel mondo della traduzione o a chi vuole intraprendere questo percorso?
Andate in Iran, frequentate la gente del posto, parlate con loro e carpite ogni singola espressione
colloquiale. Imparate il tehranese, ormai sdoganato non solo nel kuceh o nel bazar (per la strada, nel mercato n.d.r.) ma anche nei prodotti letterari. E, importantissimo, non lasciatevi intimorire da chi vi ripete che con la traduzione non si campa. Siate tenaci, credeteci; farete la vostra gavetta,
non dico di no, ma se avete passione, motivazione e dedizione aggiungerete esattamente l’obbiettivo al quale avevate anelato.

C’è un libro persiano tradotto da altri che avresti voluto tradurre tu?
Sì, Osso di maiale e mani di lebbroso, di Mostafa Mastur, perché l’autore ha avuto il coraggio di scostare la tenda su realtà scomode tra cui la malattia mentale e la prostituzione.

Recentemente sei stata anche tu, con nostro grande orgoglio, coinvolta alla partecipazione al n°1441 della rivista “Internazionale“, numero completamente dedicato all’Iran, insieme ad altri tuoi ormai noti e bravissimi colleghi italiani. Vuoi raccontarci com’è stata questa esperienza?

Devo ringraziare il collega Longhi per questa opportunità, pubblicare su Internazionale è stata un’occasione per far conoscere il mio lavoro anche a un pubblico di lettori più vario e ampio, non necessariamente legato all’Iran.

Ho tradotto il racconto di Ali Khodāi, La storia di Nina, pubblicato su Internazionale lo scorso dicembre. Ho provato una grande emozione nel vedere il mio nome accanto a quello di colleghe e colleghi che fanno questo lavoro da più tempo e che hanno più esperienza di me! Mi sono sentita lusingata! E’ stato inoltre molto formativo il confronto avuto coi revisori: se ne esce sempre arricchiti, sia umanamente sia professionalmente.

Grazie per questa bella chiacchierata, e buon lavoro.

Leggi le traduzioni di Melissa Fedi pubblicate da Negah cliccando qui.

Una risposta a “Intervista alla traduttrice Melissa Fedi. La traduzione? È la mia missione.”

  1. Terry Baccelliere dice: Rispondi

    Intervista davvero interessante!
    Ho letto anche “La storia di Nina”, tradotta da Melissa Fedi su una recente edizione de “L’internazionale” e so che Melissa ha anche curato l’ultima edizione del dizionario italiano-persiano.
    Melissa è un vera cultrice e appassionata della lingua e della cultura iraniana.
    Complimenti davvero!

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