Il gioco degli sposi

Ancora una volta Belqeis Soleimāni colloca gli esseri umani in cattedre alle quali non vorrebbero mai sedere, le cattedre delle pulsioni più ferine che convogliano in violenza per sfociare, talvolta, in morte. Scandaglia le pieghe recondite della mente e libera quegli istinti che nessuno vorrebbe mai sentir parlare, ma la cui voce aumenta d’intensità attraverso il megafono del patriarcato, del perbenismo e delle convenzioni sociali.

In particolare nel seguente racconto brevissimo Soleimāni parla del male senza mai menzionarlo.
Aiutata, paradossalmente, dalla censura di un Paese in cui l’indicibile non può essere chiamato per nome, descrive la tragedia dell’abuso sessuale con le parole quotidiane della routine familiare, basta una riga, un verbo (un’espressione idiomatica nel testo originale); quello che in una situazione normale sarebbe soltanto un appellativo affettuoso, si tramuta in una spia di paternalismo, allo stesso modo, le proposte di matrimonio della protagonista celano il suo grido d’aiuto, e il “gioco degli sposi” non è altro che la metafora con cui Soleimāni maschera l’atto sessuale.

IL GIOCO DEGLI SPOSI

Zari – Zizì la chiamavano – ha trentasei anni e non è ancora sposata. Quando suo fratello piccolo se n’è andato a studiare all’estero, Zizì si è sgravata di un grosso peso. Prima ha fatto una proposta di matrimonio al signor Farzin, quello della paninoteca di zona, poi al signor Ahmad,il fruttivendolo di fiducia. Zizì dalla mattina alla sera se ne stava impalata in piazza davanti al negozio di abiti da sposa a guardare i vestiti, faceva pena a tutti. Alla fine la famiglia si riunì in seduta plenaria per discutere di quel grande impaccio. La vecchia madre chiese a tutti i figli e figlie di pensare alla situazione di Zizì: “Zizì fa rigirare papà nella tomba un migliaio di volte al giorno.”
Farhād, il fratello maggiore, suggerì: “Si potrebbe cercare un finto marito per Zizì e mettere su una festa di nozze, così forse si darebbe una calmata.”
Abbās, un operaio della fabbrica di Farhād, accettò di sposarsi con Zizì.
Le organizzarono un matrimonio da favola, e di fatto Zizì si sposò. Il giorno dopo la cerimonia si infilò di nuovo nell’abito nuziale, costrinse il signor Abbās a indossare il completo da sposo e a sedere al banchetto di nozze. Nuovamente si cosparsero la bocca di miele e si scambiarono gli anelli. Nel corso di un mese Zizì giocò agli sposi ventotto volte. Il signor Abbās se ne lamentò con capo Farhād. Di nuovo la famiglia si riunì in seduta plenaria. Si decise che il signor Abbās sarebbe morto in un incidente e che Zizì sarebbe rimasta vedova. Il signor Abbās morì e tutti, fra cui anche la vedova, si vestirono di nero e osservarono il lutto. Zizì vestì a lutto per quaranta giorni. Il quarantunesimo giorno fece una proposta di matrimonio prima al signor Farzin, quello della paninoteca di zona, poi al signor Ahmad, il fruttivendolo. Le mancava giocare agli sposi!

Dalla raccolta di racconti brevi ‘Bāzi-e arus va dāmād’, Belqeis Soleimāni.

Traduzione di Melissa Fedi

Ascolta la lettura in persiano di Farnaz Golparvar:

Ascolta la lettura in italiano di Melissa Fedi:

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