Giacomo Longhi ricorda Anna Vanzan e ci parla dei suoi esordi come traduttore.

Come e quando nasce il tuo interesse per la lingua persiana?

Nasce un po’ per caso. Arrivato il momento di fare l’università, avevo abbastanza chiara l’idea di studiare lingue e ho scelto l’arabo andando per esclusione, nel senso che avevo già amici che studiavano cinese e russo, mentre io volevo avventurarmi in una lingua diversa. Non sapevo cosa aspettarmi dall’arabo.

La lingua persiana è arrivata successivamente. Mi ero iscritto all’università Ca’ Foscari di Venezia e il corso di studi prevedeva la scelta di una seconda lingua del Medio Oriente. Indeciso tra turco e persiano, alla fine ho scelto la lingua del paese più lontano e che conoscevo meno, l’Iran.

Traduci anche libri dall’arabo all’italiano. Dev’essere una grande soddisfazione aver raggiunto un livello tale in entrambe le lingue oggetto di studio.

Ho avuto la fortuna di studiare entrambe le lingue sul posto per un lungo periodo. Ho studiato l’arabo in Siria, prima a Damasco e poi ad Aleppo per quasi un anno. Praticare la lingua sul posto fa la differenza, in qualche modo lascia una traccia indelebile anche a distanza di anni. Per esempio, ora utilizzo meno la lingua araba rispetto al persiano, ma appena la rispolvero scopro con sorpresa che ritorna con una certa spontaneità.

Invece in Iran ho studiato a Mashhad per tre mesi all’università Ferdowsi e precedentemente ho fatto un corso di un mese a Teheran grazie ad una borsa di studio ottenuta tramite l’istituto culturale della Repubblica Islamica dell’Iran di Roma. Poi ho avuto modo di frequentare regolarmente l’Iran fino a prima della pandemia e questo mi ha naturalmente aiutato a imparare sempre di più.

Come nasce la collaborazione che ti lega da molto tempo a Ponte33?

La collaborazione è nata nel 2014 grazie a Felicetta Ferraro. La casa editrice allora era in pieno fermento. Avevo conosciuto Felicetta a Venezia, dove era stata invitata per tenere una lezione sull’Iran contemporaneo, e dopo un po’ di tempo mi ha chiesto perché non provavo a tradurre per loro un romanzo che avevano in programma di pubblicare. Si trattava diNon ti preoccupare” di Mahsa Mohebali.

La proposta mi aveva entusiasmato perché avevo già sentito parlare bene di quel romanzo e mi aveva incuriosito soprattutto per la lingua, che ricalcava il gergo dei giovani di Tehran. Inoltre era un bel modo per iniziare a tradurre, dato che il mio lavoro sarebbe stato corretto da un team di persone esperte di Iran e che prestavano molta attenzione alla cura e alla revisione delle traduzioni.

Come scegli i testi da tradurre? Operi una selezione in maniera indipendente o valuti proposte?

Entrambe le cose. Io guardo un po’ tutto. All’inizio, quando ero alle prime armi, andavo alla fiera del libro di Tehran per farmi un’idea generale. La cosa buona di queste fiere è che lì trovi in un solo luogo quasi tutti i libri che si pubblicano nel paese, puoi conoscere le case editrici, parli con le persone, fai domande e poi tiri le somme e cominci a capire quali sono i testi che potrebbero interessarti. Tornavo a casa con sacchetti pieni di libri, poi c’era da fare una cernita più approfondita e quindi bisogna mettersi a leggere.

Solo così si può capire cosa ci piace e cosa no. In questo modo, magari, si possono scoprire autori meno conosciuti, mentre se si tratta di romanzi già affermati, spesso la proposta di tradurli arriva direttamente dalla casa editrice italiana, che acquista i diritti tramite gli agenti. A volte, invece, sono gli autori stessi che ti contattano per proporre i loro testi e anche qui, qualche volta, salta fuori qualcosa di buono.

Non esiste un metodo unico in realtà. L’unico consiglio è quello di informarsi attraverso più canali, dai consigli privati agli articoli di critica letteraria, e cercare di leggere il più possibile.

Un altro strumento molto utile sono le traduzioni dei romanzi persiani in altre lingue europee, per avere un’idea su cosa circola fuori dall’Iran.

Ti occupi anche di interpretariato? Se sì, quale delle due attività senti più nelle tue corde?

Per certi aspetti l’interpretariato mi piace di più perché è qualcosa di vivo, sei in diretto contatto con le persone e puoi conoscere veramente qualsiasi settore, mentre la traduzione letteraria è un lavoro molto solitario, e adesso che sto praticando di più questo lavoro ne sento un po’ il peso.

Sappiamo che hai conosciuto molto bene Anna Vanzan, in questo mese dedicato alla traduzione è impossibile non ricordare una donna come lei e tutto il patrimonio culturale che ci ha lasciato. Vuoi ricordarla per noi con un aneddoto che ti è particolarmente rimasto nel cuore?

Intanto era veramente instancabile, soprattutto negli ultimi anni è stata una traduttrice molto prolifica. Mi ricordo una delle prime volte che l’ho ascoltata dal vivo, a Milano. Mi aveva impressionato la sua capacità di comunicare. Sapeva essere molto precisa, dava sempre profondità storica all’argomento di cui parlava, ma al contempo riusciva a coinvolgere e farsi seguire facilmente da chi la ascoltava. È stata una maestra della divulgazione.

Hai curato il n° 1441 di Internazionale dedicato all’Iran di cui noi siamo molto fiere soprattutto perché ha visto la tua partecipazione e quella di altri nostri amici che si occupano di traduzione. Vuoi raccontarci qualcosa di questa bellissima esperienza?

Per questo numero ho organizzato il lavoro di traduzione dal persiano all’italiano. È stata un’occasione per coinvolgere altre colleghe e colleghi e realizzare, alla fine, un lavoro collettivo sulla letteratura contemporanea iraniana. Non capita spesso.

Parlando autocriticamente, quale traduzione ti è particolarmente riuscita e in quale invece, pensi che avresti potuto fare meglio? A quale traduzione invece, a livello emotivo, sei più legato?

La più riuscita non saprei non sta a me dirlo, è giusto che lo dicano i lettori. Quella che, invece, vorrei risistemare è la prima, “Non ti preoccupare” di Mahsa Mohebali, dato che quando ci ho lavorato avevo molta meno esperienza e adesso tante scelte le cambierei o le affronterei con più consapevolezza.

La traduzione a cui sono più legato è sempre un romanzo di Mohebali, “Tehran girl”, sia perché mi ha permesso di cominciare a collaborare con Bompiani e quindi inserire una voce persiana in una realtà editoriale più ampia, sia perché ho veramente provato una forte empatia nei confronti della protagonista, mi ha fatto immedesimare in un punto di vista che non avevo mai considerato, che mi era stato sempre invisibile.

Foto di Omid Shahpasandi. Leggi l’articolo a lui dedicato.

Hai vissuto in Iran anche tu. Puoi raccontarci un episodio, se c’è stato, che ti ha fatto sentire come a casa?

La prima volta che sono stato in Iran, il terzo giorno ho preso un autobus per andare in centro insieme a una collega italiana. Non sapevo praticamente ancora niente del paese e parlavo un persiano molto ingessato e formale. Lì sull’autobus abbiamo chiesto a una ragazza indicazioni per raggiungere viale Enqelab. Le nostre frasi sembravano uscite da una grammatica delle elementari! Questa ragazza, alla fine, ci ha praticamente adottati per tutta la giornata, ci ha offerto un caffè in una famosa pasticceria, quella chiamata Shirini-ye Danemarki mi pare, e ci ha addirittura invitato a cena a casa sua, presentandoci alla sua famiglia!

Lei era entusiasta e incredula del fatto che due stranieri della sua età parlassero persiano e noi eravamo increduli e entusiasti di tanta ospitalità. Arrivando dalla Lombardia, per me è stato un felicissimo shock culturale!

Se puoi anticipare qualcosa ai lettori di Negah, stai lavorando ad un nuovo progetto?

Ho tre traduzioni in corso, che piano piano usciranno, ma le anticipazioni vere e proprie possono farle solo gli editori 😀

Vuoi dare un consiglio a chi vuole intraprendere questa strada?

Penso sia importante investire molto sulla formazione. Tradurre è un mestiere che si impara studiando e lavorando con gente più esperta. In Italia ci sono tanti corsi di editoria e traduzione, anche brevi come le summer school. Consiglio di ascoltare cosa hanno da dire anche i traduttori che lavorano da altre lingue, poiché tante questioni sono comuni.

Se poi volete tradurre letteratura, il consiglio è leggere tanto nella propria lingua madre, avere curiosità per i romanzi e gli scrittori italiani, poiché anche la conoscenza della lingua madre è qualcosa che si coltiva, non è affatto scontata. E poi conoscere le traduzioni che sono già state fatte, leggerle e rileggerle con occhio critico, già così si impara moltissimo. Quelle dal persiano, se si parla di romanzi e racconti, non sono poi così tante.

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