Il sentiero delle babbucce gialle, di Kader Abdolah

Il sentiero delle babbucce gialle, di Kader Abdolah. Iperborea 2020, traduzione di Elisabetta Svaluto Moreolo, pp. 416, 19.50 euro

Avevo maturato quella convinzione nel nostro castello: quando la vita ci guida su

un nuovo sentiero non bisogna avere paura

Sultan Farahangi è un cineasta iraniano rifugiato nella campagna olandese che ripercorre, tra le righe di un manoscritto, i sentieri della propria vita, dall’infanzia trascorsa nel castello fiabesco della citta di Arak fino all’esilio in Europa, passando per la scuola di cinema di Teheran.

Il viaggio nella memoria inizia con il giovane Sultan che scruta la vita fuori dal castello con il suo inseparabile cannocchiale, un mondo ibrido in un secondo dopoguerra fortemente ancorato alle tradizioni secolari ma esposto ad una modernizzazione forzata dallo scià con l’importazione della cultura americana nel Paese. Tra le manifestazioni dei jinn, spiriti a volte benevoli a volte malvagi, i primi turbamenti amorosi, le lotte femministe della cugina Akram jun e l’amicizia con il bandito Hushang Braccio Mozzo, Sultan intraprende la via del cinema e inizia a popolare i suoi film con tutti i personaggi incrociati lungo il cammino.

Stavo filmando la storia

È proprio grazie all’attività di cineasta che Sultan unirà il proprio destino a quello della regina Farah Diba e dei gruppi rivoluzionari, toccando con mano la dura realtà del carcere politico. Dopo la liberazione, l’incontro con la guida spirituale, l’ayatollah Khomeini, segnerà l’inizio della fuga verso la salvezza.

Ispirato alla vita di Said Sultanpur, poeta, drammaturgo e regista persiano giustiziato nel 1981, e strutturato come i racconti de Le mille e una notte, Il sentiero delle babbucce gialle non è solo il racconto del viaggio verso l’esilio del protagonista ma anche un viaggio a ritroso nelle radici dello scrittore.

Kader Abdolah, infatti, nei panni di Sultan, tira le fila del proprio passato alla ricerca di quell’identità che lo ha reso finalmente libero in terra straniera.

Quello stesso viaggio interiore che ricorda i turbamenti d’animo allucinati del protagonista de La civetta cieca  di Sadeq Hedayat, capolavoro della letteratura persiana moderna, con il quale Sultan si identifica.

Non a caso, il libro si apre con un brano tratto dal Verbo degli uccelli, capolavoro del poeta mistico Farid al-Din ’Attar Nishapuri, vissuto a cavallo tra il XII e il XIII secolo.

L’ho messo in cima a quel mucchio di fogli come una pietra perché il vento non li portasse via

L’opera racconta il viaggio di un gruppo di uccelli alla ricerca del loro leggendario re, l’uccello Simorgh che, misterioso, dimora sull’Albero della vita. Guidati dall’upupa – hodhod in persiano – simbolo di saggezza, gli uccelli intraprendono un viaggio metaforico alla ricerca del sé. Come lascia presagire il nome Simorgh (si, trenta; morgh, uccello), solo trenta uccelli sopravvivranno e arriveranno alla fine del loro viaggio interiore.

Come gli uccelli, anche Sultan percorre i sentieri impervi della vita, destreggiandosi con coraggio nelle trame del proprio destino. L’amore e l’arte, simboleggiati dalle babbucce gialle e dalla cinepresa, sono gli elementi fondanti dell’identità del protagonista che, grazie a una nuova lingua, l’olandese, troverà finalmente la libertà tanto agognata in patria.

Presi una penna, una risma di fogli, mi sedetti e cominciai a scrivere. Con mia stessa sorpresa, scrivevo in olandese. Non era l’olandese standard ma il mio olandese, con centinaia di errori uno di seguito all’altro. Eccolo, il nuovo sentiero, ed ero curioso di vedere dove mi avrebbe portato

Ne Il sentiero delle babucce gialle, Abdolah racconta i profondi cambiamenti dell’antica Persia in una prosa suggestiva intrisa di realtà, fiaba e poesia, intrecciando il destino di un paese con quello della propria vita. D’altronde la sua opera è fortemente permeata dal concetto di identità, di libertà, di migrazione: un modo per affermarsi in quanto uomo e artista, e di affrancarsi dalle persecuzioni in patria, facendosi ambasciatore di due culture, quella nativa iraniana e quella adottiva olandese.

 

Kader Abdolah (Arak, 12 dicembre 1954) è uno scrittore iraniano, rifugiato politico nei Paesi Bassi dal 1988, dopo esser stato perseguitato in patria dal regime dello scià e poi da quello di Khomeini. Scrive in olandese, la “lingua della libertà”, e si è affermato come uno degli autori più amati e di rilievo del paese adottivo grazie anche a La casa della moschea, votato dagli olandesi come secondo miglior libro mai scritto nella loro lingua.

 

Monica Mattana, nata a Cagliari, si è laureata a Firenze in Strategie della Comunicazione Pubblica e Politica. Fin dai primi anni degli studi universitari, si occupa di comunicazione, eventi culturali e social media in Italia e all’estero. È appassionata di libri, scrittura, viaggi e culture straniere, in particolare quella persiana.

 

 


Genere: romanzo

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